3.6.5 Selvicoltura

d a n oti osi a al e e a e o oo lni di a o eo o ù e o, n n a e a o ue e ù ti e- VEGETAZIONE FORESTALE NELLE REGIONI APPENNINICHE E INSULARI F 59 3.6.5 Selvicoltura Principali alterazioni antropiche. Le superfici potenzialmente occupate dai boschi di querce caducifoglie sono state ridotte per usi agricoli o per pascolo. La roverella ha inoltre perso terreno a causa degli incendi e del rimboschimento con conifere di boschi degradati. Tuttavia, essendo preferita come matricina nei cedui (data l appetibilità della ghianda) e capace di diffondersi in boschi degradati, nei campi e negli oliveti abbandonati, è riuscita a riconquistare terreno. Il cerro ha avuto un qualche recupero grazie ai rimboschimenti per semina. La rovere è la quercia che ha subito le maggiori riduzioni a causa dell azione antropica: i boschi di rovere vegetavano su terreni collinari poco accidentati (adatti alle colture agrarie) oppure in stazioni submontane a suolo silicatico (adatte al castagno). inoltre possibile che le alterazioni pedologiche e microclimatiche dovute al governo a ceduo abbiano favorito cerro e roverella, meno esigenti. Gli attuali querceti di alto fusto erano in origine boschi governati a ceduo. L avviamento all alto fusto è iniziato nei primi anni del secolo XX su boschi di cerro e farnetto, proprietà di alcuni comuni di Lazio, Molise e Basilicata. In seguito, vista la scarsa qualità del legname ottenibile, la conversione all alto fusto dei querceti di cerro o di roverella è stata limitata a superfici modeste e di proprietà pubblica. Il legname da lavoro di cerro non ha più applicazioni remunerative, quello di roverella è migliore da un punto di vista fisico-meccanico, ma è difficile trovare tronchi diritti e poco nodosi. Tipi di gestione gestione a ceduo semplice matricinato. la forma di governo e trattamento più frequente: si basa sul taglio a ceduo con riserva di matricine che per numero e/o dimensioni non sono sufficienti a qualificare uno strato di alto fusto sopra ceduo. I turni, in passato di 12-18 anni, oggi sono di 20-35 anni, secondo la fertilità. Il tipo colturale più frequente prevede il rilascio di matricine per un solo turno in più. Le giovani matricine servono a produrre ceppaie vigorose e piante da seme che costituiranno nuove ceppaie. Le matricine devono essere scelte fra piante da seme (rare) e polloni vigorosi e ben formati; quelle deboli possono incurvarsi o schiantarsi e risultano inutili, finendo con l essere aduggiate dai nuovi polloni. Il rilascio di 70-80 matricine/ha non crea problemi; con 150-200 matricine/ ha l ombreggiamento è eccessivo, tanto più se il taglio seguente viene ritardato. Il rilascio delle matricine a strisce o a gruppi è raccomandabile, ma solitamente non praticato. gestione a ceduo composto. Si tratta di ceduo con riserva di matricine di più età e in quantità sufficiente affinché la superficie sia più o meno equamente ripartita fra lo strato delle matricine e lo strato dei polloni. Il sistema si giustifica con la produzione di legname da lavoro oppure di ghianda per il pascolo (roverella). La matricinatura, se possibile, deve essere mantenuta multiplana rimuovendo a ogni taglio parte delle matricine più grosse. In cedui con turno di 20-25 anni si prevede la presenza di 80-130 matricine/ha distribuite fra più età e in numero decrescente al crescere delle dimensioni; più di 170 matricine/ha determinano, in pratica, l avviamento a fustaia. Per il calcolo dell area di insidenza di una matricina si può stimare che il diametro della chioma sia 25 volte il diametro a petto d uomo; a questa va aggiunto l effetto dell ombra riportata. Nei boschi misti di cerro e roverella, quest ultima viene preferita come matricina e il cerro, per il rapido accrescimento iniziale, è la specie più conveniente per governare a ceduo. gestione a fustaia. L avviamento all alto fusto dei cedui è facilitato con un diradamento dal basso dei polloni. La conversione all alto fusto può derivare anche dall evoluzione F01_3_Vegetazione_Forestale.indd 59 F 5/30/18 7:51 AM

SEZIONE F
SEZIONE F
SELVICOLTURA GENERALE E SPECIALE
La Selvicoltura può essere definita come l’insieme di tutte quelle attività di governo e coltivazione svolte nei boschi, per scopi diversi, e che rappresentano la risposta alle esigenze, dei singoli e delle comunità, che si vengono a determinare in un particolare momento storico e in uno specifico contesto sociale.In senso stretto le attività consistono essenzialmente nel taglio degli alberi, ossia nella raccolta della produzione legnosa, condotto in modo tale da assicurare la ricostituzione (rinnovazione) del soprassuolo. Nella pratica della Selvicoltura rientrano anche l’impianto di alberi e tutte le fasi di produzione delle piantine in appositi vivai, fino alla loro messa a dimora in terreni precedentemente destinati a prato o coltivo, oppure là dove il soprassuolo adulto è stato abbattuto e si è preferito fare ricorso alla rinnovazione artificiale.L’Economia forestale (Selvicoltura in senso lato) comprende non solo l’ecologia forestale (presupposto necessario all’adozione di buone forme di intervento), ma anche i criteri di misurazione del volume degli alberi, di pianificazione delle operazioni su ampie superfici forestali, di difesa del bosco da agenti dannosi e da incendi, di gestione della fauna selvatica di applicazione e rispetto delle norme che le istituzioni pubbliche fissano per inquadrare le operazioni selvicolturali (nel quadro dell’economia del territorio) e, infine, delle modalità, di verifica che ci assicurano che prodotti o servizi, ottenuti dai boschi, siano conformi ai requisiti indicati da norme o regole. Per questo è indispensabile una profonda conoscenza dei tipi di bosco presenti nelle diverse Regioni italiane e delle tecniche selvicolturali più appropriate. Si deve anche prestare attenzione ai caratteri del legno, che in parte conseguono alle specie coltivate e alle modalità di crescita degli alberi, e al modo in cui la produzione legnosa viene raccolta e trasportata dal bosco alla strada.Nella presente Sezione F del Manuale dell’Agronomo si è anche fatto un breve cenno a quelle specie legnose che sono importanti per il loro significato ecologico, per il pregio estetico e talvolta per particolari beni forniti, o che non formano complessi boscati, ma compaiono allo stato sporadico. In tal modo si è inteso fornire un quadro d’insieme, quanto più possibile aggiornato e completo, dei diversi campi tecnici e applicativi della selvicoltura.Coordinamento di SezionePietro PiussiRealizzazione e collaborazioniGiovanni Bernetti, Stefano Berti, Massimo Bianchi, Paolo Casanova, Piermaria Corona, Luigi Damiani, Roberto Del Favero, Maria Nives Forgiarini, Giovanni Hippoliti, Amerigo Alessandro Hofmann, Alberto Maltoni, Enrico Marchi, Anna Memoli, Lorenzo Pini, Pietro Piussi, Aldo Pollini, Andrea Tani, Giuliana Torta